In questo articolo di Francesca Colecchia (Arsea srl) pubblicato lo scorso 23 marzo 2021 su cantiereterzosettore.it si fa il punto della situazione riguardo alle novità riguardanti il terzo settore nell’ambito della recentissima riforma dello sport. L’articolo lo trovi a questo link.
«È stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 marzo il decreto legislativo 28/2/2021 n. 36 attuativo della legge di riforma dell’ordinamento sportivo con riferimento alle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo.
Il provvedimento prevede l’entrata in vigore dal 2 aprile fatta eccezione per la maggior parte delle disposizioni relative al lavoro sportivo la cui efficacia è posticipata al primo luglio 2022. La bozza del decreto sostegni prevede però il rinvio dell’entrata in vigore del decreto al 1° gennaio 2022, fatta eccezione per le disposizioni lavoristiche sopra citate.
L’iter travagliato di adozione del testo, condizionato da cambi di Governo, fa presagire possibili ed auspicabili interventi correttivi. Il testo d’altro canto presenta alcune criticità ma anche dimenticanze che appaiono come meri refusi, tra queste la circostanza che non sia più indicata la cooperativa tra le forme giuridiche che possono essere adottate dalle società sportive dilettantistiche.
Le presenti note quindi si fondano su un testo che potrebbe essere oggetto di importanti modifiche.
Sport e terzo settore
Il decreto chiarisce che nulla impedisce ad una associazione (Asd) o società sportiva dilettantistica (Ssd) di valutare se mantenere o assumere la qualifica di ente del Terzo settore (Ets) o di impresa sociale, con la consapevolezza che le disposizioni del “decreto sport” trovano applicazione se non incompatibili con la disciplina dedicata al Terzo settore.
L’assunzione della doppia qualifica consente di partecipare ai percorsi di coprogrammazione e coprogettazione con la pubblica amministrazione, anche realizzati di impulso degli stessi Ets, nonché di pervenire a convenzione, di fruire in via stabile di contributi pubblici così come di garantire ai donatori maggiori agevolazioni fiscali, di accedere – se si assume la qualifica di associazione di promozione sociale (Aps) – ad agevolazioni fiscali equiparabili a quelle previste per le Asd e ad un regime forfettario di liquidazione delle imposte alternativo a quello disciplinato dalla Legge 398/1991, in ogni caso operativo quanto meno fino al 31/12/2021.
Tesserato socio o non socio?
Il decreto sembra voler mettere in discussione la possibilità che un tesserato possa essere un non socio.
La formulazione della norma non appare di immediata lettura, prevedendo che “con l’atto di tesseramento l’atleta instaura un rapporto associativo con la propria associazione o società sportiva o, nei casi ammessi, con la Federazione Sportiva Nazionale o Disciplina Sportiva Associata”. Da un lato infatti sembra affermarsi la circostanza che al tesserato debbano essere riconosciuti diritti associativi o per il rapporto associativo diretto con l’Asd o Ssd, o in quanto socio diretto dell’organismo sportivo affiliante (la norma si è dimenticata di indicare tra gli organismi sportivi gli Enti di promozione sportiva). Dall’altro appare difficile ipotizzare che il praticante l’attività sportiva presso una società di capitali sportiva dilettantistica ne diventi socio, da cui la necessità che l’organismo sportivo affiliante qualifichi il praticante come proprio socio diretto. Questo implica la necessità per gli organismi sportivi di rivedere le proprie procedure di tesseramento per verificarne la congruità rispetto a questa disposizione.
La norma appare in linea con la scelta operata dal codice del Terzo settore nel definire la fiscalità delle associazioni di promozione sociale. Se infatti il Testo unico delle imposte sui redditi prevede che non si considerano commerciali i corrispettivi versati dai tesserati all’ente nazionale a cui risulta affiliata l’associazione, ancorché i tesserati non siano anche soci, l’articolo 85 del codice richiede invece che i corrispettivi fiscalmente agevolati provengano dai “propri associati e dei familiari conviventi degli stessi, ovvero degli associati di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale”, non contemplando quindi la figura dei tesserati che non siano anche soci quanto meno di altra associazione facente parte di un’unica organizzazione.
Quali attività può svolgere una Asd/Ssd che sia anche Ets o impresa sociale?
La scelta della doppia qualifica risulta particolarmente appetibile per quelle realtà che promuovono una pluralità di scopo: si pensi alle associazioni sportive dilettantistiche che realizzano anche attività culturali (corsi di musica, canto e teatro) ed educative (come il dopo scuola).
Questo è ovviamente sempre possibile ma il decreto sport introduce il vincolo della secondarietà delle attività diverse da quelle sportive senza contemplare una deroga per gli enti del Terzo settore rispetto alle attività diverse da quelle sportive che si qualifichino come di interesse generale. Ne consegue la necessità di verificare che l’attività sportiva risulti comunque l’attività prevalente dell’associazione per poter mantenere la qualifica di Asd o Ssd.
Il concetto di secondarietà è rimesso ad un decreto attuativo che potrebbe essere redatto sulla scorta di quello previsto per le cosiddette attività diverse esercitabili dagli Ets (provvedimento non ancora in Gazzetta Ufficiale) e quindi secondarietà legata alla circostanza che i ricavi delle attività diverse dalle sportive non siano alternativamente superiori al 30% delle entrate complessive dell’organizzazione sportiva o al 66% dei costi complessivi dell’ente, intendendo tali anche i costi figurativi dei volontari (quanto sarebbero costati se fossero stati pagati?), il valore delle erogazioni liberali anche in natura, la differenza tra il costo normale dei beni ed il costo effettivamente sostenuto (es: beni scontati o regalati).
Una Asd/Ets può erogare compensi sportivi?
La risposta è sì in quanto non è espressamente vietato dal codice del Terzo settore.
A parere di chi scrive non si ritiene ostativa al ricorso a tale collaborazione la formulazione dell’articolo 16 del codice del Terzo settore, laddove prevede che “i lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81”, disposizione che si ritiene riferita ai soli lavoratori dipendenti del sodalizio, non essendo ipotizzabile il medesimo trattamento normativo di un dipendente rispetto a quello riconosciuto ad un lavoratore in rapporto di collaborazione coordinata continuativa, collaborazione di natura autonoma occasionale o collaborazione professionale.
Rispetto al rapporto tra lavoratori e soci o volontari, richiesto in particolare per le associazioni di promozione sociale, si ritiene inoltre che non debbano essere computati i collaboratori che percepiscono compensi sportivi, così come i lavoratori autonomi, in quanto il decreto che disciplina il registro unico nazionale del Terzo settore prevede che debbano essere comunicati solo i dati dei dipendenti e/o parasubordinati con apertura di posizione assicurativa. Ne consegue, a parere di chi scrive, che non debbano essere computati neppure i collaboratori amministrativo-gestionali ad oggi privi di copertura assicurativa.
A partire dal primo luglio 2022 entrerà in vigore la disciplina del lavoro sportivo contenuta nel decreto sport e con essa viene ridefinito l’istituto della collaborazione con compenso sportivo. Le prestazioni retribuite saranno soggette a contribuzione previdenziali ferma restando la possibilità di svolgere attività di volontariato definite come prestazioni amatoriali.
Si tratta peròdi un volontariatocon riferimento al quale è possibile riconoscere “premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive, nonché indennità di trasferta e rimborsi spese, anche forfettari”. Tale istituto risulta così incompatibile con la disciplina degli Ets atteso che il codice nega espressamente il riconoscimento di rimborsi forfettari ai volontari.
Appare in ogni caso prematuro fare valutazioni su un istituto che potrebbe essere emendato e che tra l’altro viene fortemente ridotto nella sua portata non solo economica (qualora si superi il plafond di euro 10.000 complessivi annui, il rapporto deve intendersi di natura professionale, con conseguente assolvimento degli oneri previdenziali, per l’intero importo) ma anche della platea dei potenziali beneficiari. Si parla infatti di premi e compensi occasionali (quindi si ritiene non continuativi) in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive (quindi di istruttori/allenatori impegnati in attività sportive che implichino necessariamente la partecipazione ad attività competitive/agonistiche con erogazione dell’emolumento condizionata ai risultati agonistici raggiunti), nonché indennità di trasferta e rimborsi spese, anche forfettari (legati quindi alle trasferte). Sugli aspetti lavoristici avremo però tempo per effettuare tutte le valutazioni del caso».
Fonte: www.cantiereterzosettore.it – articolo di Francesca Colecchia (Arsea srl)
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