La riforma del Terzo settore fa un altro passo avanti con la pubblicazione del decreto ministeriale che tratta delle cosiddette “attività diverse”. In questo articolo, Daniele Erler di cantiereterzosettore.it e csvnet.it sintetizza gli aspetti salienti del provvedimento.
“Dopo una lunga attesa, è stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 26/07 il decreto ministeriale n. 107 del 19 maggio 2021, il quale stabilisce i criteri e i limiti ai fini dell’esercizio delle attività diverse da parte degli enti del Terzo settore, e dà quindi attuazione all’art. 6 del decreto legislativo 117/2017 (codice del Terzo settore).
Il decreto ministeriale entrerà in vigore il 10 agosto 2021, secondo quella che nel nostro ordinamento è l’ordinario periodo di tempo che decorre dalla pubblicazione di un atto normativo alla sua entrata in vigore.
Le attività diverse nel codice del Terzo settore
Una delle caratteristiche principali degli enti del Terzo settore (Ets) è quella di svolgere, in via esclusiva o principale, una o più delle 26 attività di interesse generale elencate all’art. 5, c. 1 del codice del Terzo settore.
L’art. 6 dello stesso Codice prevede però che gli Ets possano esercitare anche attività diverse, a condizione che ciò sia espressamente previsto in statuto e che tali attività siano secondarie e strumentali rispetto a quelle di interesse generale.
La circolare ministeriale n. 20 del 27 dicembre 2018 ha chiarito come, qualora un Ets intenda esercitare attività diverse, lo statuto debba prevedere tale possibilità senza tuttavia l’obbligo di inserire un puntuale elenco delle stesse, la cui individuazione può essere effettuata successivamente dall’organo a cui lo statuto attribuisce tale competenza (verosimilmente il Consiglio direttivo).
L’art. 6 ha quindi affidato ad un decreto, adottato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle finanze, il compito di definire cosa siano queste attività diverse e quali siano i limiti delle stesse, “tenendo conto dell’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate in tali attività in rapporto all’insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attività di interesse generale”.
La natura strumentale e secondaria delle attività diverse
Il decreto ministeriale n. 107 del 19 maggio 2021 non definisce le attività diverse da un punto di vista qualitativo: si stabilisce infatti che esse, indipendentemente dal loro oggetto, si considerano strumentali rispetto alle attività di interesse generale se sono esercitate dall’ente per la realizzazione, in via esclusiva, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite.
Le attività diverse vengono invece definite da un punto di vista quantitativo ed è quindi il carattere della secondarietà a fornire gli effettivi criteri e limiti delle stesse rispetto alle attività di interesse generale.
Le attività diverse si considerano secondarie rispetto alle attività di interesse generale qualora, in ciascun esercizio, ricorra (almeno) una delle seguenti condizioni:
- i relativi ricavi non siano superiori al 30% delle entrate complessive dell’ente;
- i relativi ricavi non siano superiori al 66% dei costi complessivi dell’ente.
In relazione al criterio di cui alla lettera b), che è evidentemente mutuato dalla normativa Onlus, si precisa ulteriormente che rientrano tra i costi complessivi dell’ente anche:
- i costi figurativi relativi all’impiego di volontari non occasionali (iscritti nel registro dei volontari), calcolati applicando alle ore di attività di volontariato effettivamente prestate la retribuzione oraria lorda prevista per la corrispondente qualifica dai contratti collettivi (art. 51 del decreto legislativo 81/2015);
- le erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni o servizi, per il loro valore normale;
- la differenza tra il valore normale dei beni o servizi acquistati ai fini dello svolgimento dell’attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto.
Ai fini del computo delle percentuali indicate sia alla lettera a) che alla lettera b) non vengono invece considerati, né al numeratore né al denominatore del rapporto, i proventi e gli oneri generati dal distacco del personale presso enti terzi.
I limiti quantitativi e il rapporto con le attività di interesse generale
Le attività diverse non vengono come detto definite da un punto di vista qualitativo, cioè in base all’oggetto delle stesse: ciò che non rientra fra le attività di interesse generale (che si ricorda possono essere svolte in modalità commerciale o non commerciale), e nemmeno nella raccolta fondi (le cui linee guida saranno discusse nella riunione di domani del Consiglio nazionale del Terzo settore), può essere considerato attività diversa a patto che rispetti almeno uno dei criteri quantitativi evidenziati alle lettere a) e b) del precedente paragrafo.
Proviamo ad esemplificare quanto detto:
- secondo il criterio di cui alla lettera a), se l’ente del Terzo settore ha entrate complessive per 100.000 euro, potrà svolgere attività diverse con entrate fino a 30.000 euro;
- secondo il criterio di cui alla lettera b), se lo stesso ente del Terzo settore ha invece costi complessivi per 100.000 euro, potrà svolgere attività diverse con entrate fino a 66.000 euro.
Se l’ente rispetta almeno uno di questi due criteri, le attività diverse vengono considerate secondarie rispetto alle attività di interesse generale.
Da quanto detto risulta evidente che se l’Ets ha costi complessivi di grandi dimensioni avrà maggiori possibilità di svolgere attività diverse.
In caso di svolgimento di attività diverse, il Consiglio direttivo dell’Ets dovrà scegliere quale dei due criteri utilizzare al fine di documentare il carattere secondario di tali attività, e dovrà indicarlo, a seconda dei casi:
- nella relazione di missione (nel caso di Ets non commerciali che redigono il bilancio formato da stato patrimoniale, rendiconto gestionale e relazione di missione);
- in un’annotazione in calce al rendiconto per cassa (per gli Ets non commerciali che redigono il bilancio nella forma del rendiconto per cassa);
- nella nota integrativa (per gli Ets commerciali che redigono il bilancio secondo gli schemi previsti dal Codice civile).
Le conseguenze in caso di mancato rispetto dei criteri per lo svolgimento di attività diverse
Nel caso in cui un Ets decida di svolgere attività diverse deve fare estrema attenzione a rispettare i criteri della strumentalità e secondarietà delle stesse rispetto alle attività di interesse generale, nei termini descritti nei paragrafi precedenti. Qualora infatti i criteri quantitativi evidenziati non venissero rispettati, la conseguenza è la cancellazione dell’ente dal registro unico nazionale del Terzo settore (Runts) e quindi la perdita della qualifica stessa di Ets.
Il decreto ministeriale prevede infatti l’obbligo per l’Ets che non abbia rispettato i limiti quantitativi allo svolgimento di attività diverse di segnalarlo all’ufficio del Runts territorialmente competente entro 30 giorni dalla data di approvazione del bilancio. L’ente che ha segnalato il mancato rispetto dei limiti dovrà nell’esercizio successivo rientrare dello “sforamento” effettuato in una percentuale almeno pari alla misura del superamento dei limiti nell’esercizio precedente. Esemplifichiamo quanto detto, utilizzando il criterio dei ricavi-costi complessivi: se l’Ets nell’esercizio precedente ha avuto entrate da attività diverse per 80.000 euro a fronte di costi complessivi per 100.000 euro significa che ha “sforato” di 14.000 il limite ammissibile dei 66.000 euro; nell’esercizio successivo dovrà rientrare della stessa percentuale e cioè, a fronte degli stessi costi complessivi di 100.000 euro, potrà avere entrate da attività diverse per non più di 52.000 euro.
Nel caso in cui l’ente abbia segnalato lo sforamento ma non abbia rispettato la percentuale di “rientro” rispetto all’esubero effettuato l’anno precedente, oppure non abbia proprio segnalato l’iniziale mancato rispetto dei limiti quantitativi all’ufficio competente del Runts, quest’ultimo dovrà disporre la cancellazione dell’ente dal Runts (con gli effetti a ciò collegati, tra i quali rientra anche la devoluzione del patrimonio ad altri Ets).
Le criticità che rimangono
La definizione di attività diverse e la comprensione dei limiti delle stesse rispetto alle attività di interesse generale rappresenta un ulteriore fondamentale tassello nel processo di attuazione della riforma del Terzo settore.
Dato che però le attività diverse non sono state definite nell’oggetto ma si identificano per differenza in ciò che non è considerato attività di interesse generale e raccolta fondi, appare imprescindibile per un ente del Terzo settore avere ben chiaro cosa siano le attività di interesse generale (di cui l’art. 5 del codice del Terzo settore fornisce sì l’elencazione ma lascia in molti casi alcuni dubbi sul contenuto preciso delle stesse) e cosa rientri fra le attività di raccolta fondi.
Infine, è di tutta evidenza come la disciplina delle attività diverse, seppur contenuta a livello generale nella prima parte del codice del Terzo settore, abbia dei fondamentali riflessi anche e soprattutto di natura fiscale dato che le stesse contribuiscono a determinare la natura commerciale o non commerciale di un Ets, secondo le regole delineate dall’art. 79 del Codice. Il fatto che quest’ultima disposizione, come peraltro gran parte del Titolo X del Codice dedicato alla fiscalità, non sia ad oggi ancora in vigore (lo sarà solo a seguito dell’operatività del Runts e dell’autorizzazione da parte dell’Unione europea), contribuisce a delineare un quadro normativo di forte incertezza”.
Fonte Cantiere terzo settore e csvnet.it – Articolo di Daniele Erler.
Ph. by Crawley College – flickr.com (CC BY-NC-ND 2.0)